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Per un popolo cultura e scienza in ogni loro espressione
debbono costituire la principale fiamma di vita.

Per Giuseppe Ermini il tema dell'istruzione e della libertà della scuola era collocato all'interno del tema della solidarietà: "Pur altamente proclamata la libertà di pensiero e di espressione, lo Stato troppo spesso in passato e a volte tuttora, quasi sia rimasto invischiato nella superata tradizione del superato illuminismo principesco e fosse premuto da errate preoccupazioni di ordine politico, ha creduto di dover impartire direttamente nel comune interesse una cultura sua proprio e non varia, anodina e scarsamente educativa, anziché assumersi anzitutto il compito di forza propulsiva e stimolatrice della massima libertà culturale, favorendo ogni iniziativa privata o di gruppi nel campo dell'insegnamento e dello studio". Ciò produceva un grande errore, perché avallava "un indirizzo che ha recato non poco pregiudizio alla diffusione e alla qualità della cultura, di quella cultura che per essere educativa vuole essere principalmente chiaro orientamento di pensiero e che per essere autentica e largamente diffusa abbisogna della massima libertà".
(Giuseppe Ermini, Essenza e doveri della D. C., Roma, Tipografia Centenari, p. 7)


Nell'ottobre del 1932 l'estensore del verbale della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Perugia che trascriveva il compiacimento della Facoltà per la chiamata del prof. Giuseppe Ermini, ordinario di storia del diritto italiano, fu profeta quando auspicò che Ermini vi rimanesse a lungo nell'interesse dell'insegnamento e della scienza. Il prof. Ermini per quarant'anni non solo illuminò l'Ateneo con l'acutezza del suo ingegno scientifico e la passione del suo talento didattico, ma lo governò con decisione, onestà d'intenti, saggezza ed alto senso della storia. Lo Studio perugino sorse nel 1285, quando il Comune chiamò un insegnante di leggi "affinché la città possa splendere della luce che promana dalla scienza". E il legame tra Università e Comune fu talmente forte che alla fine del Trecento i Priori dichiararono essere "precipua corona e decoro unico della città" alla quale tutti debbono dare "sentimento ed opere per la conservazione dello stato buono, pacifico, libero e tranquillo del Comune e del popolo". Questi riferimenti alti ebbe Ermini divenendo Rettore dell'Università di Perugia e in quarant'anni di governo promosse e fece fiorire le scienze, le arti, il decoro e l'onore dell'Università e del suo territorio. Dopo le vicende belliche l'Università risorse grazie allo sforzo congiunto di professori e studenti; furono ammodernate le strutture e le attrezzature scientifiche e didattiche, furono ampliati i Collegi per gli studenti, fu riattivata la facoltà di Lettere, furono aggiunte nuove facoltà: nel 1953 Scienze naturali e biologiche, nel 1964 la Facoltà di Magistero,  alla fine degli anni '60 il Corso di Laurea in Economia e Commercio.

Nel 1973 nel discorso di apertura dell'Anno Accademico Giuseppe Ermini espone la sua lungimirante visione dell'Università, che si compendia in tre punti cardine:

- uguale possibilità ai cittadini di arricchire la propria cultura anche prima dell'ingresso all'Università
- rifiuto assoluto di ogni politicizzazione dell'Università, che al suo interno va guidata da Organi di governo autenticamente democratici
- adeguamento dei mezzi alle necessità della crescita universitaria.

A questi deve aggiungersi un quarto e più importante elemento. L'Università deve essere orientata al bene comune, così come auspicato nella bolla istitutiva dell'Università perugina: "che dalla città uscissero uomini dotti che, splendendo come stelle, servissero a guidare sulla via della giustizia ossia del bene".
(Giuseppe Calzoni, Giuseppe Ermini e l'Università di Perugia, in Giuseppe Ermini: l'uomo, lo studioso, il maestro a cento anni dalla nascita, Atti delle giornate di studio 8-10 dicembre 2000, Ferentino 2001, pp. 51-58)