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Buona giornata.

Fonti esterne
Bonum est faciendum
et persequendum
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di Michele Pennisi
Vescovo di Piazza Armerina
Presidente della commissione storica
per la causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo

don-sturzo-3.jpgNel suo testamento spirituale, redatto il 7 ottobre del 1958, don Luigi Sturzo aveva scritto:  "A coloro che mi hanno criticato per la mia attività politica, per il mio amore alla libertà, il mio attaccamento alla democrazia, debbo aggiungere, che a questa vita di battaglie e di tribolazioni non venni di mia volontà, né per desiderio di scopi terreni né di soddisfazioni umane:  vi sono arrivato portato dagli eventi". E aggiungeva:  "Riconosco le difficoltà di mantenere intatta da passioni umane la vita sacerdotale e Dio sa quanto mi sono state amare le esperienze pratiche di sessanta anni di tale vita; ma ho offerto a Dio e tutto indirizzato alla Sua gloria e in tutto ho cercato di adempiere al servizio della verità".
Queste ultime espressioni anticipano quanto scrisse dopo la sua morte Jacques Maritain, che lo aveva conosciuto durante l'esilio negli Stati Uniti:  "Si percepiva che egli riceveva la forza dalla sua missione sacerdotale e dall'offerta nella quale donava se stesso offrendo Gesù Cristo. Sacerdote innanzi tutto, egli non aveva difficoltà a mantenere intatti in mezzo alle agitazioni politiche, il suo ministero sacerdotale e la sua vita interiore. In lui l'attività temporale e la sua vita spirituale erano tanto più perfettamente distinte quanto più intimamente unite nell'amore e nel servizio di Cristo". A Caltagirone nella tomba di marmo bianco dove riposano i resti mortali di Sturzo, oltre la data della nascita e della morte, è riportata, secondo il desiderio espresso dal sacerdote nel suo testamento, anche quella della sua ordinazione, avvenuta il 19 maggio 1894 nella chiesa del Santissimo Salvatore, all'interno del cui complesso monumentale è situato il mausoleo dove nel 1962 fu traslata la sua salma.
È impossibile in realtà capire profondamente don Sturzo se si prescinde dalla visione teologica basata sul realismo del soprannaturale che ha permeato non solo la sua vita interiore di "prete piissimo", come lo definì Arturo Carlo Jemolo, ma anche tutta la sua vastissima opera in campo culturale, sociale e politico. L'esperienza di fede di don Luigi Sturzo, vissuta nel desiderio di fedeltà a Cristo nella Chiesa del suo tempo, fu coniugata con una attività sociale, politica e culturale tesa a mostrare "apologeticamente" come il cristianesimo potesse svolgere un ruolo positivo nel dare risposta ai problemi temporali, senza ridursi a una "religione politica", chiusa alla dimensione divinizzante della grazia e a quella escatologica del regno di Dio.
Don Luigi certamente nel giorno della sua ordinazione non poteva pensare dove e come l'avrebbe condotto la Provvidenza nel corso del suo ministero sacerdotale:  organizzatore dell'Azione cattolica, pubblicista che dirigeva il battagliero giornale "La Croce di Costantino", promotore di cooperative di contadini e di sindacati di operai, prosindaco della sua città natale per quindici anni, vicepresidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, segretario generale della giunta dell'Azione cattolica italiana durante il pontificato di Benedetto xv, fondatore del Partito popolare italiano, esule per oltre un ventennio durante il fascismo, autore di diverse opere di sociologia, storia, morale, teologia, diritto, senatore a vita e battagliero polemista negli ultimi anni della sua vita. È impossibile capire profondamente Sturzo se si prescinde dalla visione teologica sottesa a tutta la sua opera e dal suo impegno pastorale di prete. "Nella mia vita - scrisse - ho chiesto incessantemente al Signore di essere sempre e soltanto, ovunque sacerdote, alter Christus".
Nonostante il suo impegno a livello sociale e politico egli riuscì sempre a condurre una vita sacerdotale esemplare. La sua ansia di santità emerge nel carteggio che Luigi, durante il lungo periodo del suo esilio, ebbe con suo fratello Mario, vescovo di Piazza Armerina. I due fratelli ricordano spesso la loro ordinazione e scrivono a lungo di ascetica e mistica. In una lettera del 14 maggio 1929 Sturzo chiede che gli venga inviato l'ufficio del santo curato d'Ars. Scrive da Londra il 19 aprile 1933:  "Vorrei essere santo, ma la via è lunga e io vedo che non progredisco e chissà che non vado indietro. Tu preghi per me, e te sono grato assai; nella comunione delle preghiere vi è un conforto reciproco per una più intensa vita spirituale". Durante una malattia scrive da Londra il 28 gennaio 1937:  "L'unica consolazione è che posso andare a dire la messa e arrivo a dire il breviario e le preghiere. Tutto il resto mi stanca".
La celebrazione quotidiana della messa costituiva il fulcro della sua giornata. La sua messa - chiamata da molti suoi amici "la messa di sant'Alfonso dei Liguori" per la devozione e per la commozione con cui la celebrava - è rimasta impressa in molti che l'hanno conosciuto. Non meraviglia dunque che don Sturzo abbia potuto descrivere a Ernesto Calligari nell'aprile del 1926 la sua attività sociale come "esplicazione di apostolato religioso e morale". "Non avessi avuto questa convinzione e questa finalità - scrive nella stessa lettera - non avrei potuto conciliare le mie attività col mio carattere sacerdotale e con la mia unica aspirazione di servire Dio".
Egli concepisce la spiritualità non come qualcosa che tende ad abbracciare tutta l'esistenza. "La pietà - scrive agli inizi del secolo scorso - non consiste nel passare tutte le ore a recitar preghiere, ma principalmente nell'abito virtuoso dell'umiltà, nell'esercizio della presenza di Dio, nel desiderio di patir per Gesù Cristo e per Lui mortificare se stesso, nell'ordinare tutto a Dio come a fine ultimo (...) Non bisogna crear colli torti, né ipocriti tristi, ma sacerdoti il cui ministero importa attività pel popolo in tutte le ore, in tutti i momenti, nei quali siamo costretti, come diceva san Francesco di Sales, a lasciare Dio per Dio".
Di questa sua profonda spiritualità rimanevano colpiti quelli che lo accostavano. Significativa è la testimonianza di un anticlericale come Gaetano Salvemini:  "Don Sturzo crede nell'esistenza di Dio:  un Dio - badiamo bene - che non solo esiste chi sa mai dove, ma è sempre presente a quel che don Sturzo fa, e don Sturzo gliene deve rendere conto strettissimo, immediatamente, e non nell'ora della morte (...) Con quell'uomo buono (naturalmente era anche intelligente) non si scherzava (...) Discuteva e lasciava discutere di tutto, con una libertà di spirito, che raramente avevo trovato nei cosiddetti liberi pensatori; ma quando si arrivava alla zona riservata, cadeva la cortina di ferro, don Sturzo non discuteva più".
Per don Luigi Sturzo la santità doveva costituire l'ideale di ogni cristiano, anche delle persone impegnate in politica. Questo non deve meravigliare se si pensa a quanto aveva scritto agli inizi del xx secolo Giuseppe Toniolo, con il quale il giovane Sturzo aveva iniziato a partire dal 1898 un rapporto epistolare:  "Noi credenti sentiamo, nel fondo dell'anima, che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente, non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi una società di santi".
Rispondendo nel 1957 a un quesito di don Giovanni Rossi sulle possibilità di un uomo politico di "essere cristiano integrale", Sturzo sosteneva che "a nessuno Dio nega le grazie per essere perfetto cristiano" ma "se il vangelo afferma essere la via del cielo assai stretta, e perciò impossibile da percorrere per i superbi e di difficilissimo esito per i ricchi, quegli uomini politici e amministratori pubblici che sono esposti a montare in superbia e a subire le tentazioni (...) sono perciò stesso obbligati, se vogliono rimanere buoni cristiani, a stare molto più vigilanti degli altri, e a pregare Dio che accordi loro con maggiore abbondanza la grazia dello stato".
Alla base della spiritualità incarnata nell'impegno sociale e politico di Sturzo c'è una concezione ortodossa del mistero di Cristo vero Dio e vero uomo che, sulla scia della definizione del concilio di Calcedonia, porta a escludere sia una sorta di "neomonofismo" integrista, che confonde fede e politica, sia una specie di "neonestorianesimo secolarista", che conduce a una schizofrenica separazione dualistica fra vita cristiana animata dalla carità e impegno politico.
Don Sturzo cercò di realizzare una ortoprassi cristiana della politica, basata su un corretto rapporto tra ordine naturale e ordine soprannaturale, che escludesse sia un assorbimento del naturale nel soprannaturale, sia una giustapposizione fra i due ordini. Quest'impostazione del rapporto fra grazia e natura si ritroverà sia nell'elaborazione del progetto di un partito laico di ispirazione cristiana, sia nella sua sociologia storicista, che è stata definita "cristiana nella radice anche se laica nelle foglie". Nel 1947 così si esprimeva in un articolo:  "Il finalismo unico e inderogabile per tutti è il regno di Dio e la sua giustizia, che si ricapitola in Cristo Uomo-Dio. La realtà vera non è la natura ma il binomio:  natura-soprannatura, del quale l'unione ipostatica in Cristo è il sublime e infinito prototipo. Ogni separazione in Cristo dell'uomo da Dio, come ogni separazione nell'uomo della natura dalla soprannatura, ci fa cadere nell'irreale; perché non esiste un Cristo solo uomo, come non esiste l'uomo solo natura. L'umanità di Cristo è assunta dalla divinità, la natura dell'uomo è elevata dalla grazia (...). L'umanità fin dal primo inizio dell'elevazione alla grazia con Adamo, vive nell'atmosfera del soprannaturale".
A distanza di cinquant'anni dalla morte il tentativo di Sturzo di realizzare un impegno politico e sociale, rispettoso sia di una ben intesa integralità del cristianesimo sia di una sana laicità della politica, riveste ancora una sua attualità, che rimanda a un impegno creativo e responsabile dei cristiani di interpretare "i segni dei tempi" alla luce del Vangelo, per realizzare una prassi politica animata dalla fede e vissuta come esigenza intrinseca della carità.

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2009)