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A cinquant'anni dalla morte di don Luigi Sturzo

Vivacemente antitotalitario Coerentemente democratico

di Andrea Possieri


don-sturzo-1.jpgDon Luigi Sturzo muore nel pomeriggio di sabato 8 agosto 1959, a Roma, nella casa generalizia delle Canossiane all'età di ottantotto anni. Tredici anni prima, nel 1946, nello stesso mese di agosto, si era imbarcato a New York sul "Vulcania" per far ritorno in Italia dopo ventidue anni di esilio. Emblematico è il ritratto di Sturzo, sulla nave che varcava l'oceano, scritto da un cronista dell'epoca:  "Un gran ciuffo grigio, il suo naso caratteristico, due lunghe mani che stringono un messalino e lo sfogliano svelto al succedersi delle orazioni. Luigi Sturzo è tutto in quel ciuffo, in quegli occhi, in quelle mani che sanno solo il gesto della preghiera a Dio. Del corpo esile e fragile, ci accorgiamo soltanto per qualche sussulto del petto".
La "salute cagionevole" lo accompagnò per tutta la vita. Ancor di più in questo ultimo decennio. Don Luigi Sturzo - come ricorda Gabriele De Rosa nella più nota biografia del prete di Caltagirone - aveva sempre chiesto all'amico e professore Giuseppe Caronia di avvertirlo quando il momento della morte si sarebbe avvicinato. Quel momento venne giovedì 23 luglio 1959. Quel giorno don Sturzo cercò di celebrare la messa nonostante il parere contrario di don Giovanni Pirani, parroco della chiesa di Ognissanti. Arrivò sino alla consacrazione e alla consumazione. Lesse a stento gli oremus finali e poi si accasciò. Fu portato a braccia sul letto, ancora vestito, e subito fu chiamato il suo amico professore Caronia che gli preannunciò che la fine era prossima:  "Don Luigi, il Signore è vicino". E Sturzo:  "Ringraziamo il Signore!".
Sacerdote, politico, studioso, prima di tutto "un grande italiano". È questa la rappresentazione che trovò largo spazio nei giornali dell'epoca all'indomani della morte. "Il Messaggero" scrisse che era scomparso "una grande figura di italiano", "La Nazione" che era morto "un assertore dello Stato di libertà". Nel ricordo di Giuseppe Prezzolini si poteva leggere che era morto "un italiano" che aveva "sempre difeso l'Italia a viso aperto". Invece "l'Unità" - formalmente post-stalinista ma ancora togliattiana - sembrò rispolverare un vecchio linguaggio cominternista e lo dipinse come un "sacerdote disciplinato" che era stato "in costante e prudente fedeltà alle mutevoli direttive del Vaticano", il cui merito maggiore sarebbe consistito nella "difesa della Repubblica spagnola contro la sollevazione franchista" e il cui demerito più grande andrebbe riassunto nell'essere stato "il preparatore, l'ispiratore e la guida del primo partito cattolico che ha aperto la via al secondo, la Democrazia cristiana, e al suo programma clericale  di conquista dello Stato italiano".
Accanto al "grande italiano" e al "clericale" si faceva largo anche un'altra interpretazione che suggeriva l'esistenza di ben due Sturzo:  "uno di sinistra" nel periodo precedente la seconda guerra mondiale e "uno di destra" dopo il 1946. Campione di questa esegesi è sicuramente Eugenio Scalfari che, con un commento apparso su "L'espresso" del 16 agosto 1959 dal titolo "La coerenza di Sturzo", scinde in due il sacerdote di Caltagirone:  quello antifascista prebellico, quando ancora il movimento cattolico è un movimento minoritario in Italia, e quello dopo il suo rientro in patria, quando "ha assunto la leadership morale dell'ala cattolica conservatrice". "Il problema di Sturzo è quello della coerenza", scrive Scalfari chiedendosi se una coerenza di tale natura abbia giovato "alla diffusione del messaggio cattolico nella società italiana". In realtà, Sturzo seppe essere coraggiosamente antifascista nei primi anni Venti e tenacemente anticomunista nel secondo dopoguerra. Ovvero, vivacemente antitotalitario e coerentemente democratico.
E comunque a trent'anni di distanza anche i giudizi degli avversari politici si mitigano e mutano col variare del sistema politico, delle sensibilità culturali e delle sconfitte politiche. Quel "prete segaligno e sempre indaffarato, con la tonaca svolazzante", come lo ricordò maliziosamente "la Repubblica" con un articolo a firma di Gianni Corbi il 14 febbraio 1989, non assomigliava poi così tanto a quello descritto nel 1959 da "L'espresso". "Il seme del movimento - si legge su "la Repubblica" - fortemente organizzato e piantato da Sturzo nel fertile terreno cattolico, si dimostrerà vitale e resistente. Tutta l'azione di De Gasperi e di molti suoi successori, come vedremo, è in gran parte una summa ammodernata del pensiero sturziano".
L'8 agosto del 1989 il quotidiano del Partito comunista italiano, "l'Unità", andò ben oltre il commento de "la Repubblica". Con un partito che attraversava la sua crisi finale e si trovava in una faticosa ricerca di una nuova identità politica che fosse in qualche modo redentrice di una storia fino ad allora creduta "gloriosa" e che si era rivelata in realtà fallimentare, il quotidiano di botteghe oscure tentò una rilettura di don Sturzo che fosse, in qualche modo, in linea con l'orizzonte culturale del "nuovo Pci".
 Carlo Cardia, in un corposo articolo di terza pagina, enucleava alcuni meriti storici del "pretedon-sturzo-2.jpg atipico" di Caltagirone, sottolineando a più riprese non solo "l'antifascismo sturziano", ma soprattutto una sorta di primogenitura politico-culturale sulla questione morale che, da circa un decennio, era diventata bandiera insostituibile dei comunisti italiani. Una lunghissima citazione di don Sturzo del 1952 - in cui si invocava "pulizia morale, solo così i partiti sono degni di chiedere i voti" - veniva attualizzata agli anni Ottanta cercando di includere don Sturzo e i "suoi valori" all'interno del patrimonio simbolico della nuova sinistra. Tuttavia, al di là delle battaglie per la memoria storica e dei meccanismi di rimozione e rimodulazione delle identità politiche, il sacerdote di Caltagirone non è certamente un uomo ascrivibile soltanto alla vita politica della prima repubblica. Don Luigi Sturzo ha attraversato l'Italia liberale, quella fascista e quella repubblicana, formando le proprie idee politiche nella prima, vivendo da esule nella seconda e da padre nobile della patria nella terza, anche se ai margini dell'arena politica. Ma è soprattutto in un'età di mezzo, nella transizione dal regime liberale a quello fascista, che il prete di Caltagirone diventa uno dei protagonisti del sistema politico nazionale, di quel particolare sistema politico democratico-proporzionalista che, soprattutto dopo il 1919, permette per la prima volta la competizione tra i grandi partiti di massa. Una delle novità più importanti del primo dopoguerra - "il fatto storico più grande dopo il Risorgimento" secondo Antonio Gramsci, "l'avvenimento più notevole della storia italiana del xx secolo" secondo Federico Chabod - fu la nascita del Partito popolare italiano, la creatura politica di cui Sturzo era stato il propugnatore, l'organizzatore e il teorico da lungo tempo, almeno a partire dal 1905. Da quando pronunciò a Caltagirone, il 24 dicembre del 1905, quel discorso su "I problemi della vita nazionale dei cattolici", che i biografi segnano come uno spartiacque storico dell'elaborazione sturziana e che prefigura una nuova fase politica e la formazione di partito laico, democratico e d'ispirazione cristiana. Questa fase troverà poi compimento nell'appello "A tutti gli uomini liberi e forti", pronunciato dalla stanza dell'albergo Santa Chiara il 18 gennaio 1919.
Tuttavia, le idee e le proposte politiche che porteranno alla nascita del Partito popolare italiano affondano le radici ancora più indietro nel tempo. Da un lato, nel magistero di Leone xiii e nella pubblicazione dell'enciclica Rerum novarum e, dall'altro, all'interno delle dinamiche del sistema politico dell'Italia liberale dove i cattolici erano tra gli "esclusi" del processo risorgimentale. In questo contesto storico, dunque, l'enciclica di Leone xiii del 1891 sulla questione operaia rappresentò, come ebbe a dire lo stesso Sturzo, "la prima finestra su questo mondo". Prima di allora, "tutto preso dagli studi", racconta lo stesso Sturzo, il mondo esterno gli era "indifferente e ignoto" e il suo scopo era, al più, quello di ottenere "una cattedra di filosofia e di portare il tomismo in un'università di Stato". L'anno successivo, con lo scoppio delle rivolte dei contadini e degli operai delle zolfare siciliane, i "fasci siciliani", era giunto il momento del passaggio dalla teoria, l'enciclica leonina, ai fatti, l'azione politica.
Nel volgere di pochi anni prende inizio l'attività politica di don Sturzo. Nel 1895 fonda nella parrocchia di San Giorgio il primo comitato parrocchiale e, poco dopo, dà vita alle prime casse rurali e cooperative della sua città. La nascita del Partito popolare italiano nel 1919 rappresenta, probabilmente, il suo capolavoro politico. Il capolavoro di uomo cresciuto e formato sul finire dell'Ottocento che ebbe la capacità e il coraggio politico - e questo è probabilmente il suo maggior lascito - di anticipare i tempi e di percepire i pericoli delle ideologie totalitarie del Novecento.


(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2009)