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La storia
Bonum est faciendum
et persequendum
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padre-leombruni.jpgRicordo di Padre Giuseppe Leombruni OFM
(Ferentino 29. 07. 1917  – Gerusalemme2. 03. 1998)

Parroco a Cana di Galilea (Kafr Kanna)
“La Custodia non dimenticherà quello che Lei ha fatto a Cana, e se Cana ancor oggi è cristiana lo si deve a Lei, alla sua ab¬negazione e a rischio della sua stessa vita” (Lettera di P. Erminio Roncari, Custode di Terra Santa a P. G. Leombruni, 22 aprile 1972).

In ricordo di Padre Giuseppe Leombruni
Parroco latino che
con coraggio e determinazione il 22 luglio 1948
andò incontro ai soldati della Haganah
convincendoli a risparmiare la popolazione
di Kafr Kanna


Per non dimenticare

Pochi mesi prima della sua scomparsa padre Michele Piccirillo († 26 ottobre 2008) ha fatto riprodurre dallo scultore Vincen¬zo Bianchi il ritratto in bassorilievo di P. Giuseppe Leombruni dettando anche l’iscrizione per la lapide.
Premessa
P. Giuseppe Leombruni negli ultimi anni amava raccontare a tutti alcune vicende avventurose di cui era stato protagonista nella sua vita di missionario francescano in Terra Santa, spe¬cialmente quelle relative al periodo 1946-1950 nel quale era stato superiore e parroco a Cana di Galilea (Kafr Kanna).
Dato il suo carattere un po’ originale e il tono scherzoso dei suoi racconti, alcuni non gli credevano o mettevano in dubbio la verità degli avvenimenti. P. Basilio Talatinian ritenne oppor¬tuno raccogliere dalla viva voce di padre Giuseppe il raccon¬to di numerosi fatti dei quali questi ricordava date, persone e circostanze e lo pubblicò su Acta Custodiae Terrae Sanctae 38 (1993) 196-220.
Riproduciamo qui il testo di B. Talatinian apportandovi solo qualche lieve ritocco redazionale. Aggiungiamo una scheda bio¬grafica (A cura di G. C. Bottini e A. Sobkowski).

Dati biografici

• 29 luglio 1917 Luigi Leombruni nasce a Ferentino (Italia) ed è battezzato nella parrocchia della cattedrale
• 30 settembre 1928 giunge in Terra Santa
• 1928-34 compie gli studi medio-ginnasiali a Emmaus el-Qu¬beibeh
• 1934-35 a Nazaret veste l’abito francescano il 29 settembre 1934 con il nome di Fra Giuseppe, fa l’anno di Noviziato e emette la prima Professione dei Voti il 30 settembre 1935
• 1935-38 compie gli studi liceali al Monte Tabor
• 8 dicembre 1938 emette la Professione Solenne a Gerusa¬lemme, S. Salvatore
• 1938-42 attende agli studi teologici prima a Gerusalemme e poi a Emmaus el-Qubeibeh dove è “internato” (giugno 1940) insieme agli altri frati italiani, a causa della seconda guerra mondiale
• 12 luglio 1942 riceve l’ordinazione sacerdotale nella chiesa del Carmelo di Betlemme
• giugno 1943 lascia il “campo di internamento” e inizia a svolgere il ministero pastorale in diversi conventi e parroc¬chie della Custodia di Terra Santa
• 1943-46 Nazaret: vicario cooperatore a Mugeidel e Cappel¬lano militare
• 1946-50 Cana (Kafr Kanna) di Galilea: superiore e parroco
• 1954-55 Betlemme: assistente al santuario e vicario coopera¬tore – Aleppo (Siria): Collegio di Terra Santa – Yacoubieh (Si¬ria): parroco – Alessandria-Bacos (Egitto): vicario cooperatore nella parrocchia – Gerico: vicario cooperatore
• 1956-57 Betlemme: assistente al santuario e vicario coopera¬tore nella parrocchia
• 1958–63 Gerusalemme, Santo Sepolcro
• 1961-78 Parroco dei copti cattolici a Gerusalemme
• 1964-72 Gerusalemme, San Salvatore: vicario cooperatore del parroco latino
• 1973-80 svolge il suo ministero aiutando in diversi conventi e santuari: Nazaret, Acri, Gerico, Ain Karem, Gerusalemme: Cenacolo, S. Sepolcro e San Salvatore
• 1980-92 Betlemme: assistente al santuario e vicario coopera¬tore nella parrocchia
• 1993 Emmaus el-Qubeibeh: assistente al santuario
• 1995 Betfage: assistente al santuario
• 2 marzo 1998 muore a Gerusalemme nell’ospedale Saint Jo¬seph – sepolto nel cimitero francescano al Monte Sion

P. Giuseppe Leombruni a Cana

P. Leombruni Giuseppe (nel secolo Luigi), nato a Ferentino in Italia il 30 (29, secondo il certificato di battesimo) luglio 1917, è venuto in Palestina il 30 Settembre 1928, quando aveva appena 11 anni di età, per farsi francescano missionario in Terra Santa.
Dopo il noviziato fatto a Nazareth, ha emesso la professione dei voti temporanei il 30 Settembre 1935 e quella dei voti solenni l’8 Dicembre 1938. Compiuti gli studi (ginnasiali, filosofici e teologici in vari conventi della Custodia di Terra Santa), è stato ordinato sacerdote in data 12 Luglio 1942. Un particolare dell’ordinazione sacerdotale: durante la seconda guerra mondiale i frati francescani italiani erano stati concentrati dagli inglesi nel convento di Emmaus; gli ordinandi, fra i quali il P. Leombruni, sono stati messi su macchine militari e condotti con sorveglianza di soldati e poliziotti a Betlemme dove è avvenuta l’ordinazione sacerdotale e nello stesso modo sono stati ricondotti a Emmaus.
Ordinato sacerdote, P. Leombruni ha svolto il ministero sacerdotale in qualità di vicario cooperatore nelle parrocchie francescane a Mugeidel presso Nazareth, a Bacos (Alessandria d’Egitto), a Nazareth, a Betlemme e a Gerusalemme, e in qualità di superiore e parroco a Jacubieh in Siria, a Gerico e a Cana. Ha fatto più volte il servizio nel S. Sepolcro.
Quando svolgeva il suo apostolato a Nazareth, è stato nominato Cappellano militare con il grado di Capitano, dal colonnello inglese di Haifa, per i soldati italiani prigionieri di guerra, che erano concentrati in tre campi distinti, dislocati in varie parti della Galilea. P. Leombruni ogni domenica si recava a questi campi per ascoltare le confessioni e celebrare la santa Messa, e ciò durante un anno e alcuni mesi. Il titolo di Cappellano militare gli è servito in seguito per allacciare relazioni con gli ufficiali ebrei che avevano occupato Nazareth e Cana, dei quali si serviva per facilitare il suo apostolato caritativo e umanitario. (…)
P. Leombruni quando si trovava a Nazareth nel 1943 era venuto a conoscere la famiglia musulmana Al Fahum che è la famiglia più grande della Galilea. Nominato parroco e superiore a Cana nel 1946, mentre un giorno, verso la fine di dicembre di questo stesso anno, passava per il giardino dei melograni s’incontrò con il giovane Abdullatif Kassem Al Fahum e riconosciutolo lo salutò. Rientrato in convento incaricò il domestico di andare al giardino dei melograni e condurre il giovane in convento. Intanto il Padre gli prepa¬rava una stanza per alloggiarlo. Sapeva infatti che il giovane era stato istruttore delle guardie di frontiera e poi aveva di¬sertato per darsi alla guerriglia insieme con altri arabi per un senso di patriottismo e solidarietà coi propri connazionali palestinesi che osteggiavano gli inglesi fautori dell’immigra¬zione degli ebrei.
Arrivato Abdullatif in convento, il Padre gli disse che poteva re¬stare finché le circostanze lo richiedessero. Il giovane vi rimase fino alla partenza degli Inglesi dalla Palestina e guerriglieri ara¬bi da Nazareth, e cioè dopo un anno e mezzo all’incirca.
Mentre ancora il giovane alloggiava in convento, i suoi genito¬ri, saputa la cosa, vennero a trovarlo; quindi baciarono il Padre, dicendogli che non avrebbero mai creduto che la simpatia per la famiglia Al Fahum e la sua bontà verso Abdullatif potessero giungere fin a tal punto. Per questo motivo, da quel momento in poi, lo avrebbero considerato loro figlio onorifico, assicuran¬dogli tutta la protezione della famiglia Al Fahum.
Dopo qualche tempo dall’uscita dal convento, il giovane ven¬ne a morire. I suoi genitori fecero sapere al Padre che tutto non era finito a causa della morte del loro figlio, ma resta¬va un testimone cioè il fratello di Abdullatif chiamato Abdul Rahman Kassem Al Fahum, molto stimato e rispettato dagli arabi, il quale in realtà non mancò di mostrare effettivamente la sua riconoscenza verso il Padre.
[Alla morte di P. Leombruni Atef Al Fahum, a nome della fami¬glia, inviò un messaggio di condoglianze nel quale egli viene chiamato “Abuna Yusef Al Fahum” e si aggiunge: “Lo ricordere¬mo sempre come uno dei più gentili e stimati sacerdoti di Terra Santa; conoscerlo è stato una fortuna per noi”].
Nei due anni che seguirono la seconda guerra mondiale, la situazione politica della Palestina era molto tesa a causa della grande e quasi continua immigrazione ebraica. Gli arabi non potevano tollerare una cosa simile, perché la Palestina era da secoli araba e sarebbe diventata ebrea qualora fosse continuata l’immigrazione; per cui a ogni costo dovevano ostacolarla, lottando sia contro gli ebrei sia contro gli inglesi. Gli ebrei a loro volta lottavano sia contro gli arabi per salvarsi e salvare i loro possedimenti e case, sia contro gli inglesi, i quali ogni tanto proibivano l’immigrazione. Infine gli inglesi dovevano tenere a bada e gli uni e gli altri per non cadere vittime del loro odio e furore, impedendo i loro attacchi e attentati.
Quasi tutta la Palestina era in stato d’allarme e la guerriglia scoppiava ora qua e ora là tra arabi ed ebrei. Toccava agli inglesi di domare la guerriglia e difendersi dagli uni e dagli altri. C’era guerriglia anche nei paraggi di Cana causando morti e feriti. Gli ebrei meglio organizzati portavano via i loro morti e i feriti, mentre i morti e i feriti arabi rimanevano sul campo. Per curare i feriti P. Leombruni mise a loro disposizione due stanze davanti alla chiesa francescana. La gestione di questo piccolo, diciamolo, “ospedaletto” era affidata a un certo Mahmud, medico musulmano di Erzegovina, che si trovava allora a Cana, il quale veniva aiutato dallo stesso Padre. Durante le scaramucce, nel buio, P. Leombruni, sfidando le pallottole, faceva da “Croce rossa” per così dire, raccogliendo i feriti e portandoli all’ospedaletto, e assieme a Mahmud curarli e attendere alle loro necessità.
P. Leombruni, in qualità di parroco, si adoperava per mettere la pace nelle famiglie cristiane e musulmane, ogni qualvolta fossero nate gravi discordie tra i membri di una famiglia o tra le famiglie. Ma la sua opera pacificatrice richiese da lui sforzi non indifferenti. (...)
Dopo il suo arrivo a Cana, passato un po’ di tempo, P. Leombruni parlando con Fra Emerico Eberginye, fratello laico, che serviva in chiesa e in convento, era venuto a sapere che esisteva una grave discordia di vecchia data tra due fratelli musulmani della famiglia Samara. Da venti anni i due non si parlavano. Uno si chiamava Darwish e l’altro, che era “mukhtar”, cioè un funzionario parastatale, le cui vidimazioni specialmente su affari appartenenti allo stato personale dei cittadini sono riconosciute dal governo, si chiamava Yusef. Tutti e due avevano la loro famiglia.
A causa di questa inveterata discordia anche la popolazione di Cana era divisa in due partiti, l’uno se la intendeva con la famiglia di Al Fahum e l’altro con la famiglia Al Zughbi, residenti ambedue a Nazareth. P. Leombruni prima di accingersi all’opera di riconciliazione dei due fratelli, credette prudente e opportuno parlare prima con i capi famiglia di Al Fahum e di Al Zughbi recandosi a Nazareth, e consigliarsi con loro. Andò prima dal capo della famiglia Al Fahum e poi dal capo della famiglia Al Zughbi; gli fece molto piacere che essi erano desiderosi che finalmente la pace regnasse tra i due fratelli e tra la popolazione di Cana, dove tutto era in subbuglio col danno di tutti.
Ma per assicurare meglio l’esito della sua opera volle servirsi di un certo Fadil Tuma, greco cattolico di Cana, di grande esperienza e di una parlantina eloquente e persuasiva e lo pregò di aiutarlo nella difficile impresa. Fadil accettò la proposta del Padre.
Trattandosi di una discordia sorta per motivi familiari, si doveva ricorrere a un metodo semplice e convincente, secondo il giudizio del Padre. Perciò egli e il signor Fadil Tuma si recarono prima alla casa di Darwish Samara. Dopo i primi saluti, Darwish ricordò con compiacenza il P. Egidio Geissler, che agli inizi del secolo, oltre ad essere parroco, era anche direttore della scuola di Terra Santa a Cana, e si gloriava di essere stato lui col fratello Yusef allievi della scuola di Terra Santa.
Il Padre, vedendo che Darwish serbava buon ricordo dei Francescani, volle approfittarne per esprimergli la sua riconoscenza per i sentimenti di simpatia e fiducia manifestati da lui a loro riguardo. Da parte sua Darwish assicurò il Padre che sarebbe stato sempre disposto a facilitargli la vita a Cana.
Tornato in convento il Padre comunicò a Fra Emerico il risultato di questo primo incontro ed ebbe da lui incoraggiamenti perché continuasse la sua iniziativa. Dopo qualche giorno P. Leombruni e il signor Fadil Tuma uscirono dal convento diretti verso la casa di Yusef Samara e avvicinandovisi non diedero a vedere che volevano far visita a lui. Ma lui si affrettò a invitarli e li ricevette con gentilezza e disse al Padre che sperava che si trovasse bene a Cana; quindi gli manifestò la sua soddisfazione della maniera con cui il Padre si comportava con tutti sia cristiani che musulmani senza fare alcuna distinzione in tutto quello che poteva contribuire al bene del villaggio, e perciò si metteva a sua disposizione, perché potesse continuare la sua benefica azione.
P. Leombruni volle subito approfittare di questa buona disposizione di Yusef dicendogli che aveva bisogno di lui, perché essendo arrivato a Cana di fresco, non poteva essere al corrente della causa di tanti malintesi e di tanti partiti. Intanto gli domandava che egli non dimostrasse davanti agli altri che esisteva discordia tra lui e il suo fratello Darwish; il che non doveva essergli troppo difficile, perché lui e suo fratello si vantavano di essere stati allievi dei Francescani. Yusef rispose: “Debbo pensarci su, ma tu non ne parli per il momento col mio fratello Darwish”.
I presupposti della riconciliazione erano stati posti. Si doveva ora mettere i due fratelli insieme l’uno di fronte all’altro. Ma come fare? Dopo averci pensato alquanto il Padre ne trovò il modo. Inviò il signor Fadil da Darwish per proporgli di venire al convento in tale e tale giorno verso le tre del pomeriggio e dopo aver avuto risposta favorevole, inviò il signor Fadil da Yusef dicendogli che era invitato al convento per lo stesso giorno alle ore una o una e mezzo, senza dirgli che suo fratello era stato invitato anche lui per quello stesso giorno. Ne ebbe risposta affermativa.
Quindi il Padre invitò una decina di notabili del villaggio alcuni dei quali cristiani e altri musulmani, e il signor Fadil con la preghiera che venissero in convento alquanto prima dell’una dello stesso giorno.
Yusef stette all’appuntamento e fu ricevuto dal Padre e dagli altri invitati e tutti si sedettero nel refettorio per prendere una tazzina di caffè e a confabulare. Il Padre dopo un po’ di tempo uscì dal refettorio chiudendone la porta. Verso le ore tre arrivò anche Darwish e fu condotto dal Padre nel divano dove l’aspettava Fra Emerico e bevvero una tazzina di caffè.
Il Padre uscì dal divano, andò al refettorio e disse al signor Fadil d’invitare tutti i presenti a recarsi al divano dove li aspettava Fra Emerico. Il mukhtar Yusef vi entrò e vide là suo fratello Darwish e nel vederlo rimase quasi fuori di sé. Lo stesso avvenne a Darwish nel vedere suo fratello Yusef. Erano venti anni che non s’incontravano!
Allora cominciò l’opera del signor Fadil Tuma e dei notabili, i quali con parole adatte cercarono di calmare il bollore dei sentimenti dei due fratelli per addolcirli e pacificarli, mostrando loro che la famiglia Samara non poteva e non doveva essere causa di gravi danni alla popolazione del villaggio; del resto tutti e due amavano la popolazione e dicevano di amarla.
Allora il Padre intervenne concludendo: “Se veramente amate il villaggio, dimenticate il passato e rappacificatevi, tanto più che voi due dite di essere affezionati ai Francescani e siete riconoscenti verso di loro; mostrate ora che siete buoni allievi del P. Geissler. I due si fissarono negli occhi a vicenda e poi si strinsero le mani. Quindi, presa un’altra tazzina di caffè, se ne uscirono e ritornarono alle loro rispettive case, contenti che una grande discordia durata tanto a lungo era ora cessata. Da quel giorno, almeno apertamente, non ci furono questioni tra loro due e tra la popolazione. (…)
Per meglio capire i racconti che seguono, conviene dire due parole sulla divisione della Palestina decretata dall’ONU il 29 novembre 1947. La maggior parte della Palestina fu attribuita agli arabi e il resto agli ebrei. Questi esultarono di gioia, essendosi attuato il loro sogno di avere una patria dopo circa 2000 anni, mentre quelli s’indignarono gridando alla violazione dei loro diritti territoriali su tutta la Palestina.
Gli inglesi a causa dei malumori che tra i due gruppi etnici crescevano sempre di più, si dichiararono incapaci di calmare gli animi e decisero di lasciare la Palestina, senza interessarsi di ciò che sarebbe successo dopo la loro partenza. All’indomani di questa decisione e precisamente il 14 Maggio 1948 gli ebrei proclamarono l’indipendenza costituendo lo Stato d’Israele.
Per aiutare gli arabi palestinesi intervennero gli stati arabi d’Egitto, Iraq, Libano, Libia, Siria e Transgiordania inviando i loro eserciti e così cominciò la prima delle quattro guerre che si scatenarono tra arabi ed ebrei. La prima ebbe inizio nella seconda metà del 1948 e terminò nell’anno seguente con la vittoria degli ebrei, i quali estesero il loro dominio su parecchie parti della Palestina che erano state attribuite agli arabi. Circa settecentomila arabi abbandonarono la Palestina per rifugiarsi nei paesi arabi limitrofi o nel cuore della Palestina che fu occupata subito dalla Transgiordania. Questa transmigrazione era stata favorita sia dalla paura di un massacro generale, come era capitato prima agli abitanti arabi del villaggio di Deir Yasin che si trovava a ovest di Gerusalemme e vicino ad Ain Karem, sia dall’invito fatto da alcuni capi militari arabi di abbandonare il paese, accompagnato dall’assicurazione che vi sarebbero ritornati presto. Ma il fatto è che gli emigrati perdettero ogni cosa e finora non sono ritornati alle loro case.
La pacificazione dei due fratelli Samara e l’ospedaletto per i feriti avevano procurato al P. Leombruni stima e fiducia non solo in Cana, ma anche nei villaggi vicini: Turàan, Mashhad, Ain Mahal e Halwe e nei tre attendamenti di beduini di Ehzer, Baaln e Rummanieh nella pianura di Battuf; perciò i loro abitanti ricorrevano a lui nelle cose di maggior rilievo, ascoltavano i suoi consigli e seguivano le sue direttive. Un esempio lampante di quanto or ora detto è il fatto che essi ascoltando il consiglio del Padre non scapparono dalle loro abitazioni nell’avvicinarsi dell’esercito ebreo e perciò poterono salvare la proprietà dei loro averi evitando anche i disagi dell’esilio.
All’avvicinarsi della bufera P. Leombruni aveva consigliato agli abitanti dei villaggi e degli attendamenti di beduini di non sparare affatto contro i soldati ebrei e di dichiararsi gente pacifica. Agli abitanti di Cana aveva consigliato inoltre che attaccasero alle finestre un pezzo di tela bianca.
Intanto venne la notizia che gli ebrei avevano occupato Sefforis (dove esistono ruderi vistosi del Santuario di S. Anna, madre della SS. Vergine), e puntavano su Nazareth. Infatti il 16 luglio 1948 essi, salendo sulla montagna che sovrasta la città e arrivando al luogo chiamato Khanuk, situato a nord della città, poterono occuparla facilmente perché gli arabi non si aspettavano una manovra simile e furono presi alle spalle.
Allora alcuni uomini di Cana per amor patrio si armarono di fucili e si appostarono a sud del villaggio aspettando il nemico. Ma in seguito se ne ritirarono per intimazione dei notabili i quali seguendo il consiglio del Padre stimavano più ragionevole e più proficuo impedire un massacro.
Intanto P. Leombruni pensava come agire con gli ebrei e si confrontò con fra Emerico Eberginye e col parroco greco-ortodosso Procoros. Fra Emerico prima di farsi frate in Jugoslavia, faceva parte dell’esercito austro-ungarico ed era ufficiale nel reparto colonnelli e poi anche guardia personale di Alessandro Karageorgevitch, re dei Serbi-Croati-Sloveni dal 1921 in poi, e conosceva e parlava parecchie lingue, fra le quali anche il russo. Procoros aveva studiato teologia nel seminario del Phanar del Patriarcato greco ortodosso in Costantinopoli ed era energico e capace nel disbrigo degli affari. Anch’egli parlava il russo. Questi tre si conoscevano bene, si amavano e si stimavano a vicenda e nelle cose d’importanza si consigliavano.
Nella riunione si decise che P. Leombruni andasse ad affrontare i soldati ebrei e parlamentasse con loro; che Procoros badasse a radunare le donne e i bambini cristiani nelle chiese latina e greco-ortodossa, e che Fra Emerico cercasse di radunare le donne e i bambini musulmani nella moschea. Si decise anche di raccogliere i fucili e depositarli nella canonica di Procoros per poi consegnarli agli ebrei, essendo certo che questi avrebbero domandato la consegna delle armi.
La mattina del 22 luglio 1948 già si vedevano sulle alture movimenti di auto, pullman e di altri automezzi, soldati ebrei con cannoni e varie specie di armi. P. Leombruni capì che era arrivata l’ora in cui egli doveva affrontare gli israeliani senza perder tempo, ma come in tutte le sue iniziative, si mise a pregare fervorosamente domandando il soccorso divino, affinché il Signore disponesse le cose per il bene della popolazione. Quindi uscì dal convento e si recò presso il mulino a olio nella proprietà di Saffuri dietro la fontana, aspettando il momento opportuno per farsi vedere e parlare coi soldati. Intanto questi con le armi in mano scendevano dall’altura di Mashhad (patria del profeta Giona) che si trova a sud di Cana, pronti a sparare, qualora trovassero resistenza. Quando furono vicini al mulino, P. Leombruni saltò su gridando “Italiani”. Egli era stato consigliato in precedenza dal consolato italiano e da altri consolati di comportarsi così e riferire loro cosa sarebbe successo agli stranieri, perché avevano l’obbligo di riferire ai loro governi sulla sorte dei rispettivi sudditi durante la guerra.
Quindi avanzando verso i soldati, disse che aveva un messaggio da parte del Vaticano e dell’Italia e che doveva consegnarlo soltanto al feldcomandante d’attacco. Questi avvertito della cosa accorse subito; si chiamava Balti Balfuria originario di Afula, aveva aria pacifica e maniere gentili e parlava anche l’arabo.
Era già passato molto tempo, Fra Emerico e Procoros volevano sapere come stavano le cose e andarono nel posto dove si trovava P. Leombruni. Il feldcomandante e altri ufficiali ebrei cominciarono a parlare anche con i due nuovi arrivati. Procoros fece allora un gran servizio al P. Leombruni dicendo a Balti Balfuria che il Padre era rappresentante del Vaticano e che custodiva il Santuario del primo miracolo di Gesù a nome del Vaticano. Il feldcomandante era ora più sicuro dei suoi fatti e poteva credere al P. Leombruni senza esitazione; però voleva sentire anche i notabili del villaggio e venire in possesso delle armi che avevano.
Fra Emerico e Procoros continuarono a conversare con gli ufficiali; il Padre invece, rientrato nel villaggio, radunò i notabili e prese i fucili. Tutti insieme si diressero verso la strada asfaltata principale e quando vi arrivarono si trovarono improvvisamente davanti a una jeep che precedeva una colonna di soldati ebrei provenienti dal nord. Il comandante della colonna, non sapendo nulla di ciò che era avvenuto prima tra il feldcomandante d’attacco e il Padre, sparò cinque colpi; una pallottola sfiorò i capelli del P. Leombruni, il quale al primo movimento della mano dell’ufficiale si era gettato a terra assieme agli altri, ma gridando anche questa volta “Italiani” e alzando la mano mostrava il suo passaporto. Il comandante sentì la voce e vide il passaporto e smise di sparare.
Allo strepito delle fucilate arrivò il feldcomandante vicino al Padre e gli domandò cosa fosse accaduto ed ebbe per risposta: “È stato un malinteso”; egli replicò “Vuoi che se ne faccia un rapporto?”; e il padre: “Non ne vale la pena; chi ha sparato non sapeva nulla di ciò che era intercorso tra noi due”.
Il feldcomandante rimase molto contento di questa risposta, forse perché il rapporto, se fosse stato fatto, gli avrebbe creato grattacapi non indifferenti. Quindi fece ritirare i fucili e domandò al Padre come mai si avevano quei fucili. Il Padre senza scomporsi gli rispose: “Sono tempi di emergenza e i ladri si moltiplicano; senza fucili non è possibile difendersene”.
Quindi tutti si recarono al convento francescano, contenti che non era successo nulla e sorbirono il caffè che il Padre aveva ordinato di offrire a loro. Da alcune risposte del Padre il feldcomandante si accorse che egli non era digiuno di cognizioni militari e gli domandò dove le avesse apprese. Il Padre gli rispose che era stato Cappellano militare col grado di Capitano. Nacque da questa risposta maggior affiatamento tra i due, che rese proclive l’ufficiale verso il Padre.La riunione si sciolse con queste parole dette dal feldcomandante al Padre: “Puoi ricorrere a me ogni qualvolta avrai bisogno di qualche cosa”.
In Cana rimase un drappello di soldati e gli altri se ne andarono altrove. Dopo un certo tempo vennero a Cana il feldcomandante d’attacco e il generale Abraham Yofi e fecero una visita al Padre il quale, come prima al feldcomandante, così ora al generale disse quale era il messaggio del Vaticano, non scritto ma orale, che cioè, secondo quanto stabilito a Ginevra dalla Società delle Nazioni, non è lecito ai soldati sparare, se la popolazione non fa resistenza. Allora il generale gli ha rilasciato un documento in cui si dava ordine ai militari di non nuocere ad alcuno o cessare di nuocere qualora leggessero il predetto documento. Il documento era importante ed è stato utile, per esempio, nel seguente caso. Un certo Tewfiq Giaras di Cana veniva percosso da un ufficiale ebreo. Fu chiamato P. Leombruni, il quale mostrò subito il documento a quell’ufficiale; questi al vederlo si diede subito alle gambe lasciando libero il malcapitato. In seguito questo documento fu ritirato.
Non solo Cana, ma anche gli altri villaggi vicini e i tre attendamenti di beduini, non ebbero alcun danno dall’occupazione ebraica, perché seguendo il consiglio dei Padre non avevano fatto alcuna resistenza e si erano dichiarati pacifici.
Dopo qualche tempo dall’occupazione di Cana venne al villaggio una commissione governativa di alti ufficiali assieme a una commissione italiana, di cui faceva parte un giornalista italiano. Uno di questi ufficiali disse davanti a tutti: “Questo fraticello ha impedito il peggio”. Dopo qualche giorno apparve una breve notizia sulla Gazzetta governativa favorevole al P. Leombruni.
Durante la sua vita P. Leombruni ha raccontato tutte le predette cose; ma parecchi sono rimasti scettici e alcuni hanno persino detto che era un fanfarone; essi però non sapevano niente delle lettere scritte al P. Leombruni dal P. Custode di allora, P. Alberto Gori, che fu in seguito Patriarca latino di Gerusalemme e poi anche dal P. Emilio Pascottini, parroco a Cana nel 1956.
Il Custode P. A. Gori, in data 20. 11. 1948, così scrisse al Padre: “Una delle più grandi soddisfazioni è di sapere che ha saputo e voluto restare al suo posto. Così si deve fare... Il S. Padre è contento di questo e ci benedice” [La contentezza del S. Padre si riferisce non soltanto al P. Leombruni ma anche a tutti gli altri Francescani che durante la guerra arabo-israeliana sono rimasti al loro posto nei conventi e nelle parrocchie]. Lo stesso P. Custode nella lettera scritta al P. Leombruni in data 23.2.1949 loda l’operato del Padre con le seguenti parole: “Da quando Lei si trova a Cana la parrocchia va bene e i parrocchiani non mi hanno dato nessuna noia. Lei ha saputo salvare il paese e le Autorità sono contente di Lei”.
Dopo otto anni dall’occupazione di Cana, il P. E. Pascottini, parroco a Cana, scrisse al P. Leombruni in data 25. 2. 1956: “Qui a Cana ti ricordano tutti con riconoscenza per l’alta opera umanitaria, da te svolta in tempi di emergenza, soprattutto per il fatto di aver salvato il paese dalla distruzione, coadiuvato dal defunto Abuna Procoros. Caro P. Giuseppe, anche se non avessi fatto altro nella tua vita, puoi sempre ringraziare Iddio che ti ha dato la grazia di compiere questa nobile azione”.
Erano passati 46 anni da questa “nobile azione”, quando P. Michele Zeitun, nativo di Cana, dove aveva parenti, conoscenti e amici (perché ora è morto), mi disse che è vero ciò che P. Leombruni racconta, perché a Cana la gente ricorda ancora quanto egli ha fatto per salvare il loro villaggio e la sua popolazione; e mi raccomandò che si dovesse tramandare alla storia l’avvenimento stampandolo in qualche pubblicazione della Custodia di Terra Santa. (…)

Gerusalemme, 10 Luglio 1993