Chiesa |
Anno di fondazione |
Ristrutturazione |
Appartenenza ad Ordini Religiosi |
Stato attuale |
S. Antonio abate |
Nel 1260 circa da Pietro del Morrone (Celestino V) |
Nel XVIII sec. |
Congregazione dei Celestini |
Chiesa |
Il più antico documento relativo al monastero ferentinate di S. Antonio Abate ne attesta l’esistenza in data 14 aprile 1267: si tratta di un atto di donazione al monastero, conservato nel Fondo Celestini dell’Archivio Vaticano.
L’Abbazia ferentinate è annoverata quale possesso celestiniano nella Bolla, emanata a Lione il 22 marzo 1275, con cui Gregorio X riconosceva privilegi e proprietà all’Ordine monastico fondato da Pietro del Morrone. Il cenobio ebbe grande splendore, economico e religioso, nel XIV secolo; ma nel XV secolo venne dato a commenda. Si conosce il nome dell’ultimo commendatario: il chierico ferentinate Luca de Vivianis, al quale Callisto III revocò il titolo nel 1456. Non si conoscono i motivi di tale revoca, ma si possono dedurre dal fatto che l’istituto della commenda non doveva arrecare pregiudizio all’Ordine proprietario del bene (A. Cortonesi, Fonti per la storia di Ferentino medioevale. Le pergamene dei celestini presso l’Archivio Vaticano, in Ferentino: la Diocesi e gli apporti francescani, Frosinone 1979, p. 95).
Iniziò un lento degrado. A partire dal XVII secolo il monastero, già ridotto dal XVI secolo a Priorato, come si desume dagli atti notarili in nostro possesso, venne sottoposto alla giurisdizione di S. Eusebio (Roma), di cui divenne grancia. Da questo periodo cominciò ad essere concesso in affitto a laici.
Si ha memoria storica dei primi affittuari: Nicola e Rutilio De Gasperis (1640). Questo affitto fu revocato il 4 ottobre 1694. In quella data i monaci di S. Eusebio (Roma), riuniti capitolarmene, revocarono al capitano Ludovico de Gasperis il mandato di procura, affidatogli il 4 febbraio dello stesso anno, e costituirono il monaco celestino Giulio Oddi loro procuratore per l’amministrazione dei beni spettanti al monastero ferentinate. Giulio Oddi, il 6 ottobre 1700 affittò per tre anni a Evangelista Valenti e suo figlio Modesto le terre, le masserizie, gli animali e le rendite spettanti all’Abbazia o Grancia di S. Antonio abate, esistenti in Ferentino, Supino, Sgurgola, Patrica, Morolo, Falvaterra, Monte S. Giovanni e Anagni per la somma di 250 scudi annui e diversi altri obblighi tra i quali: contrassegnare i maiali proprietà del monastero con il solito taglio nell’orecchio (secondo l’antico costume della Abbazia), far celebrare nella chiesa di S. Antonio, annualmente, le feste del Titolare (17 gennaio), S. Pietro Celestino (19 maggio), Martirio di S. Giovanni Battista (29 agosto). Il 6 ottobre 1703 il contratto di affitto fu stipulato con Biagio Arquati di Filettino. Per gran parte del XVIII secolo i beni di S. Antonio sono amministrati direttamente dall’Abate di S. Eusebio; ma il 30 maggio 1795, Placido Montani, abate di S. Eusebio (Roma) e della grancia di S. Antonio abate, ripristina l’istituto dell’affitto, concedendo per tre anni a Ferdinando Gizzi, patrizio di Ferentino, tutti i beni rustici, urbani e mobili spettanti alla grancia ferentinate per l’annuo canone di 1250 scudi. Il rogito notarile riporta la suddivisione dei beni:
Ferentino |
89 rubbi, 2 quartucci |
Anagni |
3 rubbi, 2 quarte, 2 coppe, 3 quartucci e mezza canna |
Gorga |
1 quarta |
Sgurgola |
11 rubbi, 1 quarta, 1 coppa, 2 quartucci e 72 canne |
Supino |
7 rubbi, 1 quarta, 3 quartucci e 22 canne |
Patrica |
2 rubbi, 2 quarte e 32 canne |
Selva dei Muli |
2 rubbi, 2 quarte, 3 quartucci e 74 canne |
Durante
Il 23 giugno 1801 Giovanni Cantagallo, mandatario della Curia Vescovile di Ferentino, d’ufficio prorogò, con l’annuo canone di 1250 scudi, a Ferdinando Gizzi l’affitto di S. Antonio abate, di cui era stato deprivato durante la repubblica giacobina. (rogito notarile del Notaio Michelangelo Pace, in Archivio Storico Comunale e Notarile “Antonio Floridi” di Ferentino).
Agli inizi del XIX secolo gli Ordinari diocesani ferentinati cominciarono ad esercitare il diritto di visita su S. Antonio abate, mentre per le azioni amministrative sulla proprietà monastica, era necessaria la Licenza della Curia Vescovile.
Con la soppressione napoleonica (1810) degli ordini religiosi anche la Congregazione dei Celestini nel ramo maschile cessò di esistere (erano soppresse, in modo particolare, le congregazioni contemplative).
S. Antonio abate e i suoi beni rimasero possesso enfiteutico di S. Eusebio (Roma); ne danno testimonianza diversi documenti conservati in Ferentino.
(1800-1815) |
La chiesa di S. Antonio abate e l’annesso monastero dipendevano da S. Eusebio (Roma), che ne percepiva i “pinguissimi” redditi. In quel periodo non vi abitavano né monaci né laici della Congregazione Celestina. |
24 maggio 1822 |
Il Vice Priore e Procuratore del Collegio agostiniano irlandese di Roma prese possesso dei beni appartenuti al monastero di S. Antonio abate di Ferentino in esecuzione del mandato di immissione di beni inalienati spettanti al ven. Monastero di S. Eusebio ed esistenti in Ferentino e suo territorio. |
27 dicembre 1822 |
Il vescovo Gaudenzio Patrignani nella Relazione ad Limina del 27 dicembre 1822 dichiarò che S. Antonio abate, un tempo dei Celestini, apparteneva in enfiteusi (con il monastero, tutti i beni e i diritti) all’Abate di S. Eusebio (Roma). |
10 agosto 1828 |
La chiesa di S. Antonio abate, già dei monaci celestini, viene dichiarata “nunc deductam cum suis bonis ad Em.mum ac Ill.mum D. Card. Vidoni”. |
I Salvatoristi furono surrogati nel 1869 dai Passionisti e, agli inizi del secolo XX, dai Cappuccini.
Quanto all’Enfiteusi Vidoni (La chiesa di S. Antonio abate, già dei monaci celestini, viene dichiarata “nunc deductam cum suis bonis ad Em.mum ac Ill.mum D. Card. Vidoni”, Archivio Vescovile di Ferentino, Fondo Visite Pastorali, vol. 107, Visita Pastorale di mons. Giuseppe Maria Lais, 1826-1828), questa nel 1865 venne estinta, perché l’eredità Vidoni fu riacquistata dalla Mensa Vescovile di Ferentino (Archivio Storico Comunale e Notarile “Antonio Floridi” di Ferentino, Serie contratti, b. 1, reg. 1, 1866).
La giurisdizione era esercitata, già dal 1718, dalla parrocchia di S. Valentino. Non potendo il parroco di S. Valentino, data la distanza della chiesa dalla città e dato l’elevato numero di abitanti (3000) residente nella contrada, assicurare regolare assistenza religiosa e istruzione alla popolazione, il Vescovo il 30 giugno 1924 costituì la nuova parrocchia autonoma di S. Antonio abate e ne delimitò i confini. La casa parrocchiale sarebbe stata ricavata nel monastero, anch’esso, come la chiesa, spettante all’amministrazione della mensa vescovile. Il Vescovo si sarebbe riservato, nel monastero, l’uso di tre camere. Il 17 gennaio 1926 il Re Vittorio Emanuele III riconobbe la parrocchia autonoma di S. Antonio abate, visto il Decreto episcopale 30 giugno 1924, vista l’istanza per ottenere l’assenso regio, visto l’art. 16 ultimo capoverso della legge 13 maggio 1871 n. 214 e l’art. 2 del Codice Civile, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Guardasigilli. I Cappuccini ressero la parrocchia di S. Antonio abate fino alla fine di febbraio 1926.
Il Vescovo, non potendo trovare surroga in un altro ordine religioso (si rivolse senza esito favorevole anche ai Padri Trinitari di Palestrina), nominò dapprima un economo spirituale nella persona di don Giuseppe Pettorini, canonico della Cattedrale (decreto di nomina, 17 gennaio 1926); poi il parroco nella persona di don Nicola Colafranceschi, del clero diocesano, che resse la parrocchia fino agli anni ’70.
Ferentino, 24 maggio 2009.
Biancamaria Valeri
3. AA. VV., Territorio e Ricerca, Atti del Convegno 8-9 maggio 1982, Casamari 1985.